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lunedì 7 febbraio 2011

La morte nel confessionale

Non sono sicuro di aver capito fino in fondo questa visione di Bergman. Non sono nemmeno sicuro di aver capito alcune delle immagini e con questa premessa , mi premunisco dicendo di voler correre il rischio di scrivere delle stupidaggini. L'attesa di un film cupo, tenebroso, ermetico è im parte stata smentita dall'ironia del film, dei suoi personaggi e dalla tragica comicità con la quale gli stessi affrontano eventi terribile e bui del tredicesimo secolo, come la peste, la fame, l'ignoranza, la violenza della chiesa e , infine, la morte. Lo stesso protagonista ha quasi sempre stampato sul volto un sorriso che allo stesso tempo sa di sfida e di rassegnazione, di coraggio e di stanchezza verso un destino che una partita a scacchi può solo allungare nel tempo. Tuttavia la setssa, terribile morte, ben rappresentata da quel volto pallido e lugubre, la stessa morte si presenta disposta a rimandare, a mettersi in gioco , ad essere ironica e anche a truffare l'uomo, quando si fa svelare la strategia nascondendosi nel confessionale, o quando posiziona i pezzi sulla scacchiera in modo da poter vincere. Una morte fatta umana, perchè la morte è umana, alla stregua dei roghi o delle risse nelle taverne, della solare bellezza della famiglia di saltimbanchi così felici della propria essenza da sembrare quasi stupidi. Il film è cupo , colorato da scale di grigi che lo rendono ancor più inquietante, ma allo stesso tempo è pervaso da una sottile linea di speranza che può solo trovare conforto nella stupidità dell'uomo, stupidità ed ignoranza che permettono di dimenticare il tragico destino della condizione umana. Tuttavia dovrei rivederlo per poter capire veramente quello che Bergman ci ha voluto dire, o forse è proprio una visione unica, uno sguardo non approfondito che lascia allo spettatore la vera essenza della pellicola.